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B_NORM    
view post Posted on 10/11/2010, 10:26 by: *miriamReply




Gli insetti alla base dell'estinzione dei dinosauri
Una nuova teoria mette in dubbio che a uccidere i grandi rettili sia stato un meteorite

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La telenovela sull'estinzione dei dinosauri si arricchisce di una nuova teoria. A decretarne la fine non sarebbe stato un evento straordinario come la caduta di un gigantesco meteorite ma l’attacco di alcuni banalissimi insetti.

Gli entomologi George e Roberta Poinar nel loro libro “Che cosa ha estinto i dinosauri? Insetti, malattie e morte nel Cretaceo” hanno ipotizzato che circa 60 milioni di anni fa, gli insetti si siano moltiplicati al punto da assestare un doppio colpo mortale ai rettili primitivi: diffusero malattie e favorirono la trasformazione della vegetazione, alla quale i grandi erbivori non riuscirono ad adattarsi.
“Noi non possiamo attribuire con assoluta sicurezza la causa dell’estinzione agli insetti, ma crediamo che abbiano contribuito in modo estremamente significativo al declino dei dinosauri – ha dichiarato Poinar, professore di zoologia all’Università dell’Oregon -. Le nostre ricerche sull’ambra mostrano che c’è stata un’evoluzione di vettori infettivi nel periodo Cretaceo e che almeno alcuni dei patogeni di cui erano portatori gli insetti ha colpito anche i rettili. Questo chiaramente colma alcune lacune relative all’estinzione dei dinosauri”.

All’interno di un insetto conservato nell’ambra, il gruppo di ricercatori ha trovato tracce di vari parassiti, compresi quelli che causano la leishmaniosi e una forma di malaria in uccelli e rettili.
Ispezionando i resti di alcuni dinosauri, sono state inoltre individuate delle tracce di microbi attribuibili agli insetti.
Ma non c’erano solo creaturine dotate di pungiglione: gli insetti, più in generale, erano anche impollinatori di piante da fiore. Furono loro a favorire la proliferazione di felci, gingko e delle primitive gimnosperme.
I dinosauri erbivori che non furono in grado di adattarsi alla nuova dieta non poterono che morire di fame.

Poinar è del parere che la teoria più popolare circa la scomparsa dei dinosauri – la caduta del gigantesco meteorite che ha mutato il clima terrestre – non può più essere sostenuta dal momento che a contraddirla sono gli stessi tempi dell’estinzione.
“Altri eventi geologici e catastrofici hanno sicuramente rivestito un ruolo importante – ha spiegato – ma di per se stessi, questi non spiegano un processo che in realtà ha richiesto un periodo davvero molto lungo di tempo, forse milioni di anni. Gli insetti e le...

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L'angolo della scienza...
Comments: 0 | Views: 71Last Post by: *miriam (10/11/2010, 10:26)
 

B_NORM  
view post Posted on 17/6/2010, 09:17 by: *miriamReply



Nuove possibilità terapeutiche: scoperto un nuovo gruppo di geni legati all'autismo

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Un consorzio internazionale di ricerca al quale partecipano oltre duecento scienziati di sessanta istituzioni diverse ha scoperto un nuovo gruppo di geni legati all'autismo: è quanto pubblica la rivista scientifica britannica Nature.
Una parte delle mutazioni appaiono ereditarie, ma altre sono considerate come nuove giacché compaiono nei bambini affetti dalla malattia ma non nei genitori, probabilmente sviluppatesi nel corso della formazione dell'embrione.
Alcuni dei nuovi geni coinvolti sono lo Shank2, il Syngap1, il Dlgap2 e il Ptchd1: agiscono a livello delle sinapsi (il contato fra le cellule neuronali) o intervengono nella trasmissione dei segnali cellulari, e la scoperta potrebbe indicare la strada per nuove possibilità terapeutiche mirate.
Il consenso emergente fra i medici è che l'autismo deriva in parte da una serie di "mutazioni rare" (nello specifico, della variazione del numero di copie di alcuni geni presenti nel dna) o da altre variazioni presenti solo nell'1% della popolazione ma che negli autistici raggiungono il 20%.
L'approccio genetico tuttavia spiega al momento solo un quinto dei casi di autismo o di problemi ad esso legati, che riguardano un bambino ogni 110 e quattro volte più comuni nei maschi che nelle femmine.

http://notizie.tiscali.it/articoli/scienza...45.html?scienza



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L'angolo della scienza...
Comments: 0 | Views: 78Last Post by: *miriam (17/6/2010, 09:17)
 

B_NORM    
view post Posted on 2/5/2010, 09:25 by: *miriamReply



Dal Dna della rana una scorciatoia per lo studio delle malattie genetiche umane

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Dal primo Dna di un anfibio arriva una scorciatoia per la conoscenza delle malattie genetiche. Una piccola rana, "cugina" di quella che ha permesso di ricostruire lo sviluppo dell'embrione, condivide per l'80% i geni umani associati a malattie. Il risultato, pubblicato su Science, è frutto di una ricerca internazionale condotta da circa 50 genetisti e biologi di 24 istituzioni di Stati Uniti, Europa e Giappone. Oltre ad avere conseguenze importanti per la medicina, conoscere il Dna della rana permetterà di tutelare meglio le sempre più numerose specie di anfibi minacciate di estinzione, ha osservato il responsabile del progetto, Uffe Hellsten, del Laboratorio sul Genoma del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti.
Rane da laboratorio - La rana, chiamata Xenopus tropicalis, è originaria dell'Africa subsahariana e, nonostante sia molto più piccola, il suo patrimonio genetico è vicinissimo a quello della rana Xenopus laevis. Quest'ultima è una vecchia conoscenza dei genestisti, che a partire da metà '900 l'hanno utilizzata come modello per eccellenza per studiare lo sviluppo dell'embrione. Prima ancora, negli anni '20 e '30, era un test di gravidanza vivente: la forte sensibilità di queste rane all'ormone prodotto dall'embrione (chiamato gonadotropina corionica) fa sì che se l'urina di una donna in gravidanza viene iniettata in esse comincia a produrre uova nell'arco di 8-10 ore. Ma ottenere la mappa del suo grande genoma sarebbe stato troppo costoso, così si è preferito ottenere quella della Xenopus tropicalis, più economica ma altrettanto utile.
Dna d’epoca - Nel genoma della rana i ricercatori sono andati a cercare Dna vecchio di almeno 360 milioni di anni, probabilmente appartenuto ad un antenato comune a mammiferi, uccelli e anfibi e conservato lungo l'evoluzione. "Adesso il genoma della rana, insieme a quello di ratti, topi e polli, permetterà di riassemblare tutte le tessere del Dna del progenitore dei vertebrati", ha osservato uno degli autori della ricerca, Richard Harland, dell'Università della California a Berkeley.
Modelli - La rana è anche uno degli animali utilizzati come modello per i genetisti il cui Dna non era ancora stato sequenziato. Per costruire la mappa sono stati necessari tre anni a partire dal 2002, ma soltanto adesso è stata completata l'analisi dell'intero genoma. Per Hellsten questa "archeologia dei cromosomi aiuterà a capire la storia dell'evoluzione, mostrando come il materiale genetico ...

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L'angolo della scienza...
Comments: 0 | Views: 99Last Post by: *miriam (2/5/2010, 09:25)
 

B_NORM    
view post Posted on 15/4/2010, 14:42 by: *miriamReply



Scoperti dei pianeti extrasolari con orbita "opposta"

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Ci sono pianeti esterni al Sistema Solare che si comportano in modo insolito: ruotano in direzione opposta rispetto a quella della loro stella, contrariamente a quanto avviene nel nostro sistema. La scoperta, annunciata nel Congresso britannico di Astronomia in corso in Scozia, a Glasgow, potrebbe rivoluzionarie le teorie attuali sulla formazione dei pianeti e perciò è stata definita "una vera bomba" dai suoi autori, Amaury Triaud, Andrew Cameron e Didier Queloz, dell'Osservatorio di Ginevra.
I tre astrofisici hanno scoperto 9 nuovi pianeti esterni al Sistema Solare (esopianeti), che vanno ad aggiungersi ai 452 finora noti, utilizzando il Wide Angle Search for Planets (Wasp). Quindi hanno combinato i loro dati con le più recenti osservazioni di esopianeti fatte con altri strumenti, come lo spettrografo Harps del telescopio dell'Osservatorio europeo meridionale (Eso) de La Silla (Cile) e il telescopio Svizzero Euler. Così hanno scoperto che 6 pianeti su 27 orbitano in direzione opposta alla rotazione del loro sole.
Scoperta rivoluzionerà le teorie sulla formazione dei pianeti - Un dato sicuramente non in sintonia con la teoria secondo la quale i pianeti si formano nel disco di gas e polvere che circonda una giovane stella e che ruota nella sua stessa direzione. I pianeti osservati sono giganti come Giove e una temperatura elevata perché hanno un'orbita molto vicina al loro sole. Il loro moto di rivoluzione "al contrario" impone adesso di formulare una nuova ipotesi sulla formazione dei pianeti.
Piccoli pianeti vengono espulsi da questi sistemi - L'idea degli astronomi è che nel corso di centinaia di milioni di anni sia avvenuto una sorta di tiro alla fune con altri pianeti o con stelle che ha determinato disturbi gravitazionali tali da portare l'esopianeta gigante in un'orbita inclinata e allungata, facendogli perdere energia ad ogni passaggio vicino al suo sole. "Un drammatico effetto di questo processo - ha osservato Queloz - è che ogni altro pianeta piccolo come la Terra in questi sistemi verrebbe espulso".

http://notizie.tiscali.it/


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L'angolo della scienza...
Comments: 0 | Views: 74Last Post by: *miriam (15/4/2010, 14:42)
 

B_NORM    
view post Posted on 6/4/2010, 09:27 by: *miriamReply



Sensazionale scoperta in Sudafrica: ecco l'anello mancante fra uomo e scimmia

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La scoperta di un 'anello mancante' tra l'uomo e le scimmie potrebbe rivoluzionare la comprensione di come ci siamo evoluti. Gli scienziati, infatti, credono che lo scheletro fossilizzato di due milioni di anni di un bambino, in Sudafrica, che sarà mostrato per la prima volta giovedì, è quello di una specie completamente nuova che si trova in una fase intermedia tra i nostri antenati scimmia e l'uomo moderno. Ciò, secondo gli scienziati, potrebbe aiutarci a rompere uno dei grandi misteri del nostro albero evolutivo - esattamente quando l'uomo cominciò a camminare su due piedi.
La scoperta è descritta sull'edizione on-line del Daily Mail. Mentre la maggior parte dei reperti finora trovati sono poco più che sparsi frammenti di ossa e denti, l'ultima scoperta è uno scheletro quasi completo. Le ossa sono state trovate nella grotta Malapa Sterkfontein nella regione del Sudafrica dal professor Lee Berger, dell' Università di Witwatersrand a Johannesburg. Il professor Phillip Tobias, un antropologo all'università, ha detto che la scoperta è stata 'meravigliosa ed emozionante''. La scoperta, insieme a una serie di altri fossili in parte completata, potrebbe ora aiutare gli scienziati a capire come i nostri antenati si sono evoluti dall'Australopithecus, presente in Africa circa 3.9 milioni di anni fa all'Homo habilis, la prima specie di tipo umano che apparve intorno 2,5 milioni di anni fa.
Lo scheletro è già stato visitato dal presidente del paese, Jacob Zuma, e si crede appunto che sia un intermedio evolutivo tra queste due specie. Esso comprende un bacino e arti interi che possono rivelare se la nuova specie camminava in posizione verticale o su quattro zampe. Le ossa delle mani potrebbero invece fornire il primo indizio in merito a quando gli esseri umani abbiamo imparato la capacità di tenere i primi attrezzi in pietra. Il dottor Simon Underdown, un esperto di evoluzione della Oxford Brookes University, ha detto: "Questa scoperta può davvero aumentare la nostra comprensione dei nostri primi antenati".

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Comments: 0 | Views: 656Last Post by: *miriam (6/4/2010, 09:27)
 

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view post Posted on 30/3/2010, 16:46 by: *miriamReply



Big bang al Cern: riesce esperimento collisione
Livello di energia tre volte superiore a quello mai ottenuto

Roma, 30 mar. (Apcom) - Accolta dagli applausi degli scienziati presenti, è riuscita al secondo tentativo la collisione di particelle ad altissima energia, esperimento in corso presso il Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle del Cern di Ginevra che ha stabilito il nuovo record mondiale per macchine di questo tipo mettendo in circolo due fasci di protoni con un'energia pari a 3,5 TeV. L'esperimento fa anche parte di un progetto di ricerca sui primi istanti di vita dell'universo, pochi istanti dopo il cosiddetto Big Bang. Ora i ricercatori dovranno analizzare i dati ottenuti per stabilire se l'esperimento abbia rivelato l'esistenza di nuove particelle o comunque confermato le previsioni del Modello Standard della fisica quantistica. Si tratta di un livello di energia tre volte superiore a quello mai ottenuto fino ad oggi: maggiore l'energia di cui sono dotati i protoni, maggiore la massa delle particelle che trasmettono le varie forze di natura che la loro collisione è in grado di rivelare. Il primo tentativo era fallito dopo che sistema di protezione dell'Lhc - per cause dovute probabilmente a disturbi della rete elettrica o a un fenomeno di accoppiamento circuitale - aveva interrotto i due fasci protonici, rendendo quindi necessaria la loro reimmissione nella macchina. Il Large Hadron Collider (Lhc) è il più grande acceleratore di particelle mai costruito: formato da un circuito di 27 chilometri di lunghezza posto a cento metri di profondità alla frontiera franco-svizzera, era stato inaugurato con successo il 10 settembre 2008 per poi essere spento appena 36 ore dopo a causa di un guasto dovuto a un collegamento elettrico difettoso fra due dei magneti superconduttori della macchina. Nei successivi lavori di riparazione sono stati sistemati altri 53 magneti risultati difettosi, ed apportate diverse migliorie quali un rilevatore di livello di resistenza elettrica che permetterà di escludere l'alimentazione prima che un corto circuito possa danneggiare i componenti della macchina. A regime gli urti fra particelle dovrebbero sviluppare un'energia pari a 14 TeV, un livello che dovrebbe avvicinarsi ulteriormente a quelli sperimentati nei primi istanti di vita dell'Universo. Obiettivo a lungo termine dei ricercatori è quello di verificare l'esistenza delle particelle supersimmetriche e delle dimensioni nascoste previste dalla teoria delle stringhe, oltre a comprendere meglio l'esatta natura della materia ed energia "oscure" che costituiscono gran parte ...

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Comments: 0 | Views: 49Last Post by: *miriam (30/3/2010, 16:46)
 

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view post Posted on 28/3/2010, 15:02 by: *miriamReply




Cancro, ricercatore italiano fa invecchiare le cellule 'cattive'

Pier Paolo Pandolfi conduce i suoi studi presso la Harvard Medical School di Boston. Invece di avvelenare le cellule tumorali con sostanze tossiche, causa spesso di affetti collaterali, è riuscito ad interrompere il loro meccanismo di replicazione spegnendo un gene

Chicago 17 marzo 2010 - L’Italiano Pier Paolo Pandolfi, ricercatore presso la Harvard Medical School di Boston, ha scoperto un nuovo metodo per combattere il cancro. Invece di avvelenare le cellule tumorali con sostanze tossiche, causa spesso di effetti collaterali, Pandolfi è riuscito ad interrompere il loro meccanismo di replicazione infinita facendole invecchiare e morire. Per attivare il processo di senescenza cellulare spegnendo il gene Skp2.

La scoperta, pubblicata su Nature, potrebbe portare allo sviluppo di un farmaco universalmente efficace contro molti o tutti i tumori. Il team di Pandolfi ha utilizzato topi geneticamente modificati per sviluppare il cancro alla prostata. In alcuni di questi hanno spento il gene Skp2 e dopo sei mesi i topi trattati avevano sviluppato un tumore di dimensioni molto minori. Non solo. Analizzando le cellule tumorali gli scienziati hanno verificato che stavano invecchiando e che il processo di suddivisione (attraverso cui il tumore si propaga) era molto rallentato. Lo stesso risultato è stato ottenuto in vitro su cellule tumorali di una prostata umana.

Fonte Agi

Ma è meraviglioso ma come mai nei Tg non se ne parla???!!! :o: :o: :angry: :angry: :sick:

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Comments: 0 | Views: 58Last Post by: *miriam (28/3/2010, 15:02)
 

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view post Posted on 9/3/2010, 17:29 by: *miriamReply



Le fratture alle ossa si ripareranno con un'iniezione
Il materiale iniettato è un sostituto osseo per il trattamento delle fratture

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Con un'iniezione l'osso torna come nuovo. Non è una magia, ma un nuovo materiale composito, utilizzabile come sostituto osseo per il trattamento delle fratture da traumi e delle patologie del sistema scheletrico, dalla perdita di sostanza ossea all`osteoporosi.

La ricerca
E' stato perfezionato dall`Istituto per i materiali compositi e biomedici del Consiglio nazionale delle ricerche (Imcb-Cnr) di Napol e il brevetto è stato depositato con Finceramica Faenza Spa, società che si occuperà del potenziale sfruttamento industriale.

Funzionamento
"Il dispositivo, costituito da un polimero sintetico e materiale bioceramico riassorbibile - spiega Luigi Ambrosio dell`Imcb-Cnr di Napoli - è iniettabile mediante tecniche chirurgiche o vie d`accesso anatomiche mini invasive. La solidificazione avviene in pochi minuti, colmando il difetto osseo e stimolando la rigenerazione. Una volta riassorbito, infatti, il materiale promuove la rigenerazione del tessuto osseo, riparando così fratture che presentano tempi lunghi di recupero o riempiendo cavità dovute a interventi chirurgici demolitivi".

Il materiale
La similarità chimico-fisica con la fase minerale dell'osso, unita ad un alto grado di purezza delle materie prime impiegate, "rende questo materiale altamente biocompatibile, evitando effetti collaterali come allergie, nonché osteo-conduttivo e osteo-promozionale, cioè capace di integrarsi pienamente con il tessuto nativo".

Applicabilità
Il campo di applicabilità, chiarisce Ambrosio, "riguarda tutte le patologie che coinvolgono il sistema scheletrico: dalle più comuni legate al fattore età, quali osteoporosi, artrosi e artriti, alle più gravi, quali sarcomi e cisti ossee". Il brevetto ora affronterà la fase della realizzazione dei prototipi, dalle sperimentazioni pre-cliniche su soggetti umani all`industrializzazione.

http://notizie.virgilio.it/


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L'angolo della scienza...
Comments: 0 | Views: 67Last Post by: *miriam (9/3/2010, 17:29)
 

B_NORM  
view post Posted on 2/3/2010, 16:41 by: *miriamReply



Sclerosi multipla provocata da un batterio? Forse
L’ipotesi per spiegare la misteriosa origine della malattia è stata formulata da ricercatori italiani della Cattolica

MILANO - Un batterio della famiglia di quelli che provocano la tubercolosi, ma assolutamente innocuo per l’uomo, potrebbe spiegare l’origine della sclerosi multipla. Almeno nei topi. A proporre questa ipotesi è un gruppo di ricercatori italiani dell’Università Cattolica che hanno pubblicato il loro lavoro sulla rivista Journal of Immunology. Questa malattia, capace di distrugge la guaina di mielina che protegge i nervi, è ancora misteriosa: si sa che nasce dall’interazione di fattori genetici e ambientali, ma non si sa esattamente come questi ultimi lavorino. Al momento sono due le teorie scientifiche che cercano di spiegare questa relazione: una chiama in causa un virus che arriva al cervello e scatena una risposta immunitaria antivirale che dà il via alla distruzione della mielina. La seconda ipotizza che un virus o un batterio, con proteine simili a specifiche molecole del sistema nervoso centrale, causa infiammazione la quale, a sua volta, provoca una reazione del sistema immune: è questa l’ipotesi autoimmune sulla quale hanno lavorato Francesco Ria (Istituto di Patologia generale) e Giovanni Delogu (Istituto di Microbiologia).

L’INGANNO - Con l’obiettivo di ingannare il sistema immunitario del topo, i ricercatori hanno leggermente modificato un batterio (della famiglia dei micobatteri cui appartiene, appunto, anche quello della tubercolosi) per renderlo simile alla mielina. Come tutti i batteri, anche se innocuo, stimola la reazione dei linfociti T del sistema immunitario che intervengono per distruggerlo. «Normalmente i linfociti T non raggiungono il sistema nervoso centrale – spiega Ria - perché non riescono a passare la barriera ematoencefalica. Il batterio è in grado di modificare queste cellule immunitarie, permettendo loro di superarla. In 15 giorni il batterio scompare completamente dall’organismo».

ATTACCO ALLA MIELINA - Una vola entrate nel cervello, le cellule T cominciano ad attaccare la mielina perché la «riconoscono» simile al batterio. «Con il nostro modello animale – commenta Ria – abbiamo dimostrato che è possibile essere infettati da un agente che non provoca di per sé malattia, ma può scatenare una patologia autoimmunitaria». Naturalmente questa ricerca, che è stata finanziata dall’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) è un primo passo e i ricercatori cercheranno adesso di capire quali sono le caratteristiche di un potenziale agente infettivo capace di scatenare la sclerosi e di capire quali sono le proteine batterich...

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Comments: 0 | Views: 52Last Post by: *miriam (2/3/2010, 16:41)
 

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view post Posted on 19/2/2010, 11:19 by: *miriamReply



Aids, terapia genica sopprime il virus: via ai test clinici

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Un’equipe di ricercatori dell'Università della Pennsylvania (Usa) ha scoperto un’arma efficace contro l’Aids. Gli scienziati, guidati dal professor Pablo Tebas, hanno sviluppato una terapia genica capace di ridurre la carica virale nel sangue dei pazienti, anche senza la normale terapia a base di farmaci antivirali, e impedito così al gene dell'Hiv di funzionare. La terapia, ha spiegato Tebas, consiste nel modificare geneticamente i linfociti T C4+ dei pazienti inserendo nel loro Dna un gene che produce un “Rna antisenso”
I risultati dello studio clinico di fase I/II sono stati presentati nel corso della 17ma Conferenza sui Retrovirus e le Infezioni Opportunistiche (CROI) a San Francisco. I linfociti del paziente vengono modificati geneticamente con Lexgenleucel-T (VRX496TM): questo inserisce nel Dna delle cellule, che poi vengono reinfuse nel sangue del paziente, il gene per un Rna antisenso, ossia una molecola che si attacca perfettamente come un cerotto sul gene virale “Env”.
L'adesione a Env impedisce a questo gene di attivarsi e così il virus è messo Ko. In pratica l'Rna antisenso funziona come un cerotto appiccicato sulla “bocca” del gene dell'Hiv, impedendogli di “parlare”, cioè di funzionare e produrre la proteina Env che gli è vitale.
La carica virale in questa maniera può essere mantenuta bassa per molte settimane anche senza la somministrazione dei tradizionali farmaci antiretrovirali. Se le sperimentazioni di fase III daranno esito altrettanto positivo su più pazienti, è possibile che questa strategia di terapia genica sia usata in futuro con il vantaggio ulteriore non solo di ridurre i farmaci antiretrovirali assunti ma di rallentare il decorso della malattia.

http://notizie.tiscali.it/


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Comments: 0 | Views: 49Last Post by: *miriam (19/2/2010, 11:19)
 

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